Leonardo: “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino”

Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino (olio su tavola) è un dipinto di Leonardo da Vinci, databile attorno al 1510-1513 e conservato al Museo del Louvre a Parigi (mentre un cartone molto simile del 1500-1505 raffigurante i medesimi pesonaggi ma con San Giovannino invece dell’agnellino, è conservato alla National Gallery di Londra). Dal momento che il grande Artista non ha bisogno di presentazioni, passiamo subito ad una graduale analisi dell’opera.

Sant'Anna, la Vergine, il Bambino e l'Agnellino
Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino

Analisi

Vediamo rappresentate in tutto tre figure umane, due donne ed un bambino, e un agnellino. Una delle donne è seduta sulle gambe dell’altra ed è rappresentata nell’atto di tirare a sé il bambino che frattanto s’intrattiene con il grazioso animaletto; l’altra donna, invece, ritratta nell’atto di osservare la scena, sembra stia cercando di dissuadere la prima a lasciar giocare il bambino. Tutta la scena si svolge in un’ambientazione campestre con un albero sulla destra; sullo sfondo, monti spumosi . Ma diamo fin da subito un nome ai nostri personaggi: ovviamente, l’aggraziato bambino che si diletta con l’agnellino è Gesù, mentre la donna che lo richiama a sé è la Vergine Maria; infine, colei che tiene in braccio Maria (evidentemente solo in modo simbolico) è Sant’Anna, ovvero la madre. Sembrerebbe finita qui, ma questo dipinto secondo molti personaggi (alcuni storicamente lontani e alcuni vicini ai nostri tempi) nasconde ben altro: proseguiamo, dunque, con alcune delle varianti interpretative.

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Dettaglio dell’albero e dei monti

Interpretazioni

Partiamo dalla prima interpretazione in ordine cronologico, quella di fra Pietro da Novellara. Egli, vicegenerale dell’Ordine dei Carmelitani, in una lettera interpreta l’opera come presagio della Passione, rappresentata dal Bambino che gioca, o meglio tenta di giocare, con l’agnellino (simbolo del sacrificio);  la Vergine lo “blocca”, lo ritrae, ma la Sant’Anna, personificazione della Chiesa, fa capire alla Vergine di dover lasciare il Bambino libero di raggiungere l’agnellino, per compiere quindi la Volontà Divina: 

“Santa Anna […] forsi vole figurare la Chiesa che non vorrebbe fussi impedita la Passione di Cristo.”

L’altra interpretazione che vorrei prendere in esame è quella data in un sonetto di Girolamo Casio (1464 – 1533) [per approfondire l’autore clicca qui], dedicato al dipinto leonardesco. Il poeta-avventuriero non considera Sant’Anna come personificazione della Chiesa, bensì dotata solamente di doti profetiche, così come s’evince dai vv. 9-11:

Santa Anna, come quella che sapeva
Giesù vestir de l’human nostro velo
Per cancellar il fal di Adam e di Eva.*

Infine, trattiamo brevemente l’interpretazione psicoanalitica del grande Sigmund Freud. Il padre della psicoanalisi, in un saggio su Leonardo [per approfondire il saggio  clicca qui], ipotizza che il dipinto sia stato influenzato dalla vita dello stesso Leonardo che, figlio illegittimo, ebbe effettivamente “due madri” così come sono due le madri rappresentate nel dipinto in questione: Sant’Anna, madre di Maria che, a sua volta, è madre di Gesù. La sua tesi sembrerebbe supportata dalle sembianze giovanili di Sant’Anna, ma in realtà non risulta fondata su prove solide (probabilmente, egli fu fortemente influenzato dal romanzo storico su Leonardo di Merežkovskij).

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Dettaglio delle “due madri”

Curiosità

Qui, il confronto tra la tavola del Louvre ed il cartone della National Gallery; come vediamo, vi sono parecchie affinità tra le due opere.

È interessante notare, nel cartone di Londra, la Sant’Anna che alza il dito al cielo guardando la Vergine; eppure quel dito mi ricorda qualcosa…


Bibliografia:

  • “Leonardo – Vita d’Artista”, Enrica Crispino.
  • “Immagini simboliche. Studi sull’arte nel Rinascimento”, Ernst H. Gombrich.
  • “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”, Sigmund Freud.
  • *Per il sonetto completo di Girolamo Casio vedi: “Del Cenacolo di Leonardo da Vinci”, Giuseppe Bossi, pag. 262.

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